L’emergenza Covid-19 è un unicum, ma nella vita di ogni organizzazione è molto probabile che, prima o dopo, si verifichi una situazione di crisi.
Il modo di affrontare e comunicare quella crisi è ciò che fa la differenza tra un’organizzazione resiliente e una che rischia di soccombere, perché l’improvvisazione è come benzina sul fuoco.
La comunicazione di crisi non si riferisce soltanto alla fase acuta dell’emergenza, ma anche alla fase pre-crisi, nel senso di predisposizione di policy destinate a intervenire con tempestività ed efficacia in caso di necessità, e alla fase post-crisi, con azioni che consentono all’organizzazione di ripartire e, se possibile, utilizzare l’esperienza della crisi come occasione di rilancio.
La paura peggiora la crisi
Spesso è la paura a guidare i vertici dell’organizzazione colpita dalla crisi. Lo abbiamo visto chiaramente nell’emergenza Coronavirus, con leader politici che passavano nel giro di una notte dal negazionismo alla fibrillazione e al panico.
La paura induce l’organizzazione a gestire in modo inadeguato la situazione e, talvolta, perfino a rinunciare alla gestione della crisi, cedendo all’immobilismo e alla paralisi. Per questi motivi, l’obiettivo del professionista di crisis management è quello di ristabilire ordine in una situazione che rischia di degenerare, salvaguardando la sicurezza delle persone, garantendo la business continuity, proteggendo il patrimonio aziendale e la sua reputazione. In sintesi: ridurre i rischi al minimo.
Se è lo Stato a entrare in crisi
Proprio alla pandemia da Coronavirus è dedicato il libro “Lo Stato in crisi“, un’analisi collettiva, cui hanno contribuito 35 autori, tra esperti e accademici, che si sono interrogati su come lo Stato italiano si è organizzato per gestire la crisi e come ha reagito di fronte alla sfida posta dal Covid-19 nella prima fase.
Il volume, curato da Patrick Trancu per Franco Angeli, analizza l’organizzazione dello Stato italiano per gestire situazioni emergenziali e i suoi limiti, interni ed esterni rispetto alla sfera di controllo nazionale, le difficoltà emerse con l’esplosione della pandemia, il ruolo che hanno assunto scienziati, esperti e giornalisti.
Con lo scopo di condividere una serie di informazioni e strumenti operativi e di sollecitare una riflessione che consenta di non farsi trovare nuovamente impreparati per la prossima crisi.
I costi della crisi nelle società quotate
Sui costi diretti e indiretti di una crisi sistemica come quella che stiamo attraversando si discuterà per anni.
Se però guardiamo al mondo dell’impresa, possiamo definire con una buona approssimazione il potenziale impatto economico di una crisi. Osservando le imprese quotate, per esempio, è possibile analizzare le conseguenze delle crisi attraverso rispetto al valore di borsa delle azioni. Lo studio “The Impact of Catastrophe on Shareholder Value” (Knight e Pretty, Templeton College, Oxford University) fa notare che, nelle crisi, emergono due categorie di aziende.
La prima è quella delle imprese definite “recoverers”, che potremmo chiamare resilienti: ovvero quelle organizzazioni che nel breve termine, segnatamente i primi cinque giorni, perdono circa l’8% del loro valore azionario, ma riescono poi a recuperare questo valore nel medio termine, dopo circa 30-50 giorni dall’evento, e nell’arco di 12 mesi riescono perfino ad aumentare le proprie valutazioni di borsa.
La seconda categoria è quella delle aziende “non recoverers”, o declinanti: sono organizzazioni che nel breve periodo perdono di più, circa l’11% del loro valore azionario, mentre nel medio periodo rimangono all’incirca nella stessa situazione. Però dopo un anno continuano a declinare, registrando, in media, una perdita di valore complessiva delle azioni del 15% rispetto al prezzo pre-crisi.
Il tempo è la variabile chiave
Una delle ragioni di questo andamento sta nell’impatto reputazionale della crisi, che ha una rilevanza elevata, alla luce del fatto che il 70% del valore di un’azienda quotata in borsa è determinato dai cosiddetti asset intangibili, come il capitale umano, le proprietà intellettuali, il marchio dell’impresa.
L’opinione pubblica oggi è più attenta a tutto quello che succede dentro e fuori le imprese. Vuole sapere tutto quello che c’è dietro alla vita aziendale: dai conflitti interni alla gestione delle materie prime, dai processi produttivi all’impatto ambientale.
In un paese come l’Italia, con una forte cultura anti impresa, questo comporta un’attenzione critica e severa sugli impatti, reali e potenziali, che le scelte aziendali hanno sull’ambiente in senso lato, quindi non soltanto fisico, ma anche relazionale e istituzionale. Gli effetti di una campagna ostile condotta da cittadini, consumatori, gruppi di pressione possono essere estremamente dannosi, se non vengono affrontati e gestiti in maniera strutturata e tempestiva.
Prevenire costa meno. Sempre
Se da un lato esiste una diffusa cultura anti impresa, dall’altro le imprese spesso difettano di cultura della comunicazione e di sensibilità verso le istanze dei propri stakeholder. È noto che la gestione dei rischi viene spesso percepita come un obbligo e un costo, quando, al contrario, proprio l’analisi e il controllo dei rischi potenziali rappresenta un elemento fondamentale per la prevenzione delle crisi e per una comunicazione di crisi efficace.
Anche per questo aspetto, il Coronavirus ha svelato quali enormi costi comporti l’impreparazione e la sottovalutazione di aspetti anche elementari, come l’accesso a beni di prima necessità di uso comune: guanti, mascherine, disinfettanti.
Purtroppo, è prassi comune mobilitare il crisis manager, o l’esperto di Litigation PR nel caso di problematiche giudiziarie, soltanto quando l’emergenza è già dilagata: quasi sempre si interviene quando l’incendio è già scoppiato, un impianto contestato è già stato messo sotto sequestro, i giornalisti hanno già bussato alle porte dell’azienda.
Prepararsi “in tempo di pace” vuol dire essere in grado di governare prima e meglio qualsiasi evento inaspettato e imprevisto.
di Giampietro Vecchiato* e Giovanni Landolfi
* Senior partner di PR Consulting, professore a contratto di Relazioni pubbliche presso l’Università degli studi di Padova, co-autore del manuale “Crisis management. Come comunicare la crisi”, Sole24Ore Editore.
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