L’arte primitiva dei popoli nigeriani in dialogo con gli artisti africani contemporanei, che indagano i temi dell’identità, della globalizzazione e delle intersezioni culturali, attraverso la fusione di linguaggi espressivi africani ed europei. È la proposta della mostra “Nigeria. Mémoires d’Afrique”, curata da Mac-Meglioranzi Art Collection e aperta fino al 23 novembre 2024 presso Artep, a Verona.
La mostra raccoglie 27 opere provenienti da collezioni private internazionali, tra cui quelle di Serge Diakonoff e Albert Saféris, con un catalogo in corso di pubblicazione per le Edizioni ZeroTre.
Il racconto di una società matriarcale
Il punto di partenza ideale della mostra è rappresentato da una figura materna di santuario in legno, altra 2 metri e 10 cm, proveniente da una collezione belga: è un’opera datata fine XIX – inizio XX secolo, che richiama la storia del popolo Igbo in un periodo precedente al colonialismo britannico, quando la società dell’epoca era strutturata in modo matrilineare e matriarcale. Erano le donne a gestire il commercio e avevano non soltanto il diritto di divorziare, ma anche quello di sposarsi tra loro e avevano sviluppato pratiche di resistenza contro la violenza maschile. Nella mitologia Igbo, questo potere femminile è legato alla capacità mistica e sacra di creare la vita. Tutta la simbologia associata alla madre terra, culminante nella figura della dea Ala, si esprime nell’arte Uli/Uri, applicata sia su abitazioni che sul corpo, in particolare attraverso le scarificazioni rituali chiamate mbudu.
La statua è sovrastata da un copricapo simile a quelli autentici indossati dalle donne Igbo, e lungo tutto il corpo si possono osservare le scarificazioni rituali mbudu, con il caratteristico incrocio sulla fronte, simbolo di fertilità.
Testimonianze dalla Nigeria precoloniale
Un’altra opera esemplare è la maschera Ogbodo Enyi, ovvero “spirito dell’elefante” o “amico del villaggio” (dove enyi significa sia elefante che amico). È alta 56 cm, datata fine XIX secolo, proviene dalla collezione di Serge Diakonoff ed è pubblicata nel suo libro L’âme de l’Afrique. Masques et sculptures (Editions de l’Amateur, 2008). Le maschere di questa tipologia presentano due facce distintive: da un lato, una rappresentazione astratta dell’elefante, con la proboscide ben riconoscibile; dall’altro, un volto antropomorfo più piccolo (ntekpe). La superficie della maschera è dipinta con caolino bianco e tonalità rosse-nere più scure. Particolarmente interessante in questo esemplare sono le linee cubiste e le cicatrici sotto gli occhi di ntekpe, tipiche delle sculture Idoma.
Le opere di arte primitiva riguardano le principali culture della Nigeria precoloniale: Igbo, Yoruba, Idoma, Mumuye, Ekoi, Nok e Ife.
Il valore dell’arte primitiva
Tra le opere di arte contemporanea esposte, va segnalata Ndebele Pattern (2014), realizzata dall’artista sudafricana Esther Mahlangu, nota per il suo utilizzo dei pattern tradizionali della tribù Ndebele, che applica su diverse superfici. Le sue opere fanno parte di prestigiose collezioni internazionali, tra cui il Centre Georges Pompidou (Parigi, Francia), il Museum Bochum (Bochum, Germania) e il Virginia Museum of Fine Arts (Virginia, USA).
Tra gli altri artisti presenti, ci sono Maurice Mbikay, Maïmouna Guerresi e Safâa Erruas.
“L’arte primitiva insieme a quella contemporanea sono da sempre la mia passione che finora ho coltivato da collezionista o come consulente per i miei clienti”, spiega Tiziano Meglioranzi, titolare di Mac e tra i fondatori della fiera ArtVerona, di cui è stato il primo direttore artistico. “Con questa mostra ho deciso di inaugurare un nuovo percorso professionale completamente dedicato all’arte con uno nuovo brand, Mac-Meglioranzi Art Collection che affianca Artep, che continuerà a occuparsi della progettazione e produzione di tappeti custom-made”.
“Nigeria. Mémoires d’Afrique”, Artep, Corso Sant’Anastasia, 34, Verona. Fino al 23 novembre 2024.
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