Chi lavora nel mondo della comunicazione avrà sentito parlare sempre più spesso di Media Intelligence. Un concetto molto ampio, che abbraccia allo stesso tempo il mondo del marketing, dei social media e del giornalismo. La Media Intelligence consiste nella raccolta di tutti i dati disponibili sui media riguardanti una certa tematica, brand o persona fisica e nella loro successiva analisi al fine di potenziare i processi di decision making aziendale.
Come sottolinea Enzo Rimedio, giornalista ed esperto in comunicazione digitale, in un articolo pubblicato sulla Harvard Business Review, la Media Intelligence si basa dunque sull’attività di osservazione e analisi delle fonti di informazione, tramite tre chiavi interpretative principali: stampa, concorrenti e clienti. Solo esaminando questi tre pubblici si possono comprendere in maniera esaustiva il posizionamento della propria azienda, come giornalisti e blogger ne parlano, cosa fanno i competitor e cosa pensano le persone. Non una mera osservazione quindi, ma un monitoraggio che serve poi a definire la pianificazione aziendale.
Tutto questo è stato rivoluzionato dai social network, che permettono alle imprese di comprendere in maniera ancora più approfondita i gusti e le scelte delle persone. Ascoltare il dialogo sui social, osservare i post e i temi di maggiore tendenza, comprendere cosa interessa a chi, per trasformare questi dati prodotti dagli utenti in informazioni preziose per il business. Un processo di estrazione di considerazioni strategiche, che possono spianare la strada al successo dell’impresa e trasformare gli utenti in una fonte d’informazioni dal valore inestimabile.
Fare Media Intelligence non è però cosa semplice. Come sottolinea Enzo Rimedio sull’articolo dell’Harvard Business Review, per mettere in pratica questa attività è necessario dotarsi di strumenti di ascolto, monitoraggio e analisi professionali, oltre ad avere a disposizione analisti in grado di far funzionare questa raccolta di dati, interpretare i risultati ed elaborare sulla base di essi nuove strategie aziendali.
“Ciò che è utile non sono tutte le informazioni, ma le più significative, e che quanto vi si ricavi dia poi un alto valore al processo decisionale del management”, spiega Rimedio. “Ed è proprio questo che distingue un’attività di monitoring da una di intelligence, diventando così la seconda una grande opportunità sia per la comunicazione, che per il marketing”.