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Comunicazione e Coronavirus: cosa non ha funzionato

Dopo un mese di alti e bassi, il 7 marzo 2020 è scoppiato il panico da Coronavirus: complice la rottura dei protocolli di comunicazione di crisi. Ecco quali e perché non hanno funzionato

Che cosa non ha funzionato nella comunicazione sul Coronavirus, generando il caos? La situazione di tensione che si è creata in Italia a causa dell’epidemia da Coronavirus si è evoluta progressivamente, a partire dalla notizia del primo contagiato, il 7 febbraio 2020.

Prima una sostanziale indifferenza, con sbandamenti improvvisi legati all’incertezza e alle accelerazioni impresse dalle misure restrittive che via via si sono succedute. Poi di nuovo fasi di relativa calma e razionalità. Infine, a un mese esatto di distanza, sabato 7 marzo è scoppiato il panico generalizzato, con la gente in fuga dai luoghi del contagio, l’assalto ai treni, i rientri improvvisi per timore di rimanere isolati lontano da casa: una situazione di grande confusione, generata da indicazioni imprecise, incomplete, ufficiose.

“Centralizzare il flusso delle informazioni. Isolare la gestione della crisi. Prendere il controllo della situazione”. Sono i primi tre principi della comunicazione di crisi enunciati dalla Guida del Sole 24 Ore al Crisis Management, realizzata da Giampietro Vecchiato e Luca Poma.

La rottura dei protocolli di comunicazione di crisi

Quello che è accaduto il 7 marzo lo hanno raccontato i giornali: dal Comitato di crisi del Governo presieduto da Giuseppe Conte è partito un negoziato serrato con i governi regionali e, a un certo punto, la bozza del provvedimento che avrebbe blindato 14 provincie è uscita dal Comitato di crisi ed è arrivata ai presidenti di Regione: è qui che si è verificata la rottura del controllo sulle comunicazioni, che è cruciale in qualsiasi situazione di crisi.

I governatori hanno condiviso la bozza (addirittura due bozze successive) con i loro assessori, poi con i referenti di partito della maggioranza, poi con gli esperti coinvolti nei comitati di crisi locali. “In pochi minuti la bozza è arrivata alla stampa. Innescando la corsa a lasciare la zona arancione, con rischi sanitari gravi per le zone d’Italia più deboli”, scrive Repubblica. Non esattamente una buona pratica di media relations.

Ecco che cosa non ha funzionato nella comunicazione sul Coronavirus del 7 marzo 2020: le informazioni fondamentali per gestire l’emergenza sono uscite dalla sfera di controllo della crisi prima di diventare direttive operative e prima di raggiungere gli enti preposti al governo dell’emergenza. Al contrario, ad ogni passaggio successivo sono state coinvolte persone che stanno al di fuori e sempre più lontane dal Comitato di crisi centrale e quindi al di fuori delle sue regole d’ingaggio, con percezioni e priorità differenti, non concordate e non controllabili.

Dalla crepa all’inondazione

“Rispettare i ruoli. Comprendere il ruolo dei media. Contenere il problema”: torniamo al libro sulla gestione delle crisi. Tutto questo non è accaduto. La crepa nel muro del controllo si è trasformata in un’inondazione di anticipazioni e informazioni incomplete che sono tracimate sui social media, amplificando i problemi e rendendo in larga parte inutili e dannosi i provvedimenti del Governo, che non ha potuto attivare alcuna forma di prevenzione contro i comportamenti irrazionali o controproducenti che poi si sono verificati.

Ci ricorderemo questi giorni e questa giornata di estremo disordine. In cui sono venuti a mancare proprio i principi basilari della comunicazione di crisi: direzione, controllo, disciplina.

Questo articolo è stato realizzato dalla redazione di STAMPA FINANZIARIA.IT

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