La Lampada di Milo è un oggetto emblematico, che ripropone il mondo magico, la fantasia e i colori del suo autore Alessandro Mendini. Realizzata nel 1988, si caratterizza per un cono tronco e una base che fuoriesce verticale da un cilindro, che ne contiene un secondo. Al di sotto del globo vitreo, posto al vertice, un anello sostiene la maschera che riduce parzialmente l’effetto luminoso e illuminante.

lampada di Milo

La Lampada di Milo reinterpretata da Codiceicona

La riedizione di Codiceicona

Oggi la lampada di Milo è tornata di attualità e non è un caso che la Società Benefit veronese Codiceicona abbia deciso di lanciare, nel 2020, una sua riedizione. Il manufatto sarà visionabile a Venezia dal 19 marzo al 16 giugno 2024 alla Biblioteca Manica Lunga della Fondazione Cini nell’ambito della mostra “Visi”. Non ci sarà solo la lampada rieditata, ma anche il gruppo di disegni preparatori, che permetteranno di scoprire la genesi dell’oggetto, rinato nel rispetto della forma estetica, con particolare attenzione alla ricerca dei colori originali e all’aggiornamento degli apparati tecnologici. Il tutto secondo quel percorso che, come spiega l’amministratore delegato di Codiceicona Nicola Fiorato, si fonda «non solo sul rimettere in produzione oggetti indimenticabili, scelti con il contributo del nostro comitato scientifico e affidati ad artigiani di talento, ma sull’attestarne l’alto profilo culturale».

La mostra a Venezia

La Lampada di Milo «riaccesa» da Codiceicona avrà un significativo ruolo all’interno dell’esposizione curata da Aldo Colonetti e dall’Archivio Alessandro Mendini. Una mostra che vedrà esposti 13 oggetti e 6 disegni del grande architetto, designer e artista milanese e che ruoterà attorno alla potenza del corpo, con il volto a fare da focus dei lavori, tutti realizzati fra 1987 e 2018. «Il tema del viso è uno degli aspetti più affascinanti dell’opera di nostro padre, che, particolarmente interessato all’antropomorfismo, spesso ha progettato oggetti e cose con sembianze umane, volti, teste o anche soltanto occhi», spiegano Elisa e Fulvia Mendini dell’Archivio.

 

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